II Domenica di Quaresima
Continua il nostro viaggio quaresimale e dopo l’esperienza del deserto, la Chiesa nella sua mistagogia, ci conduce sul monte Tabor per vivere la trasfigurazione di Gesù. Solo dopo aver imparato a stare da soli nel deserto, dopo aver permesso allo Spirito di abitare la nostra solitudine e di scandagliare il nostro cuore, possiamo fare l’esperienza bellissima di essere illuminati dal volto raggiante di Cristo. Una luce che raggiunge tutti quegli angoli bui della nostra anima che abbiamo ritrovato nel deserto, nella lotta con noi stessi e la nostra fragilità.
La luce della trasfigurazione, a differenza di quella del sole, si può vedere con gli occhi, ma solo se li abbiamo abituati a guardare al buio dentro di noi. È allora che facciamo esperienza del calore della luce che il volto di Cristo emana, quando tutto riprende colore nel nostro cuore, tutto ritorna alla vita. Troppe volte abbiamo ridotto il Vangelo ad un libro di favole o ad un vademecum per il perfetto moralista. Invece il Vangelo è un incontro: fra il volto trasfigurato di Gesù e il volto dell’uomo sfigurato dalla sua fragilità. È questa la fede che salva.
La luce della trasfigurazione, a differenza di quella del sole, si può vedere con gli occhi, ma solo se li abbiamo abituati a guardare al buio dentro di noi. È allora che facciamo esperienza del calore della luce che il volto di Cristo emana, quando tutto riprende colore nel nostro cuore, tutto ritorna alla vita. Troppe volte abbiamo ridotto il Vangelo ad un libro di favole o ad un vademecum per il perfetto moralista. Invece il Vangelo è un incontro: fra il volto trasfigurato di Gesù e il volto dell’uomo sfigurato dalla sua fragilità. È questa la fede che salva.
«Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non per lui e i suoi compagni. Pietro, potremmo dire che è “fuori di sé”, tutto proteso verso quella luce vivificante. Chi si lascia incontrare dal volto di Gesù, non vuole fare altro che prolungare quest’esperienza di grazia, dimenticando se stesso e volgendosi verso l’Altro.
Ma qui c’è tutto il rischio di chi vive la fede come esperienza intimistica, come rapporto solo fra se stesso e Dio. Gesù con i suoi discepoli scende dal Tabor perché dopo l’Alto c’è l’altro. Se la fede non si tramuta in esperienza concreta di servizio d’amore agli altri, allora resta soltanto un quadro da museo. Una tela ci può portare a dire “bella”, ma un volto, invece, ci interroga, ci provoca, ci segna. Saper incontrare il volto di Cristo nel volto del povero è l’esperienza più bella di trasfigurazione che si possa fare!