III Domenica del Tempo Ordinario
Altro che nel tempo ordinario, oggi ci troviamo in un tempo da corsa! Tutta la liturgia della parola di oggi va di fretta: Giona che annuncia«ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta»; San Paolo che scrive ai Corinzi «questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve»; Gesù stesso proclamando il vangelo di Dio diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino». E tutto questo nella cornice del Vangelo di Marco, di cui oggi iniziamo la lettura continua, e che si sa, è quello più breve, con meno dettagli e che va direttamente al cuore del messaggio. Ci si mette anche Marco a dettare il tempo quando per due volte, nel brano che abbiamo ascoltato oggi, riporta la parola “subito”: «E subito lasciarono le reti e lo seguirono»; «E subito li chiamò». Insomma si deve fare in fretta, il Regno di Dio non può aspettare!
In effetti sembra che la domanda celata dietro tutta questa frenesia sia proprio: cosa aspetti? Cosa aspetti a seguirmi? Cosa aspetti a fidarti di me? Cosa aspetti ancora per credere in me? Gesù ha presentato il suo invito con tutto quello che comporta la nostra libera adesione al suo progetto di salvezza, ora tocca a noi dare una risposta.
Sembra quasi un prendere o lasciare. Sembra. In realtà è un lasciare per prendere. Fateci caso: il popolo di Ninive abbandona la sua condotta malvagia e prende il perdono da Dio; i pescatori lasciano le barche, le reti, la loro famiglia e prendono Gesù nella loro vita. Prima bisogna convertirsi e poi credere. Prima lascia la strada vecchia di peccato e poi fidarti della nuova via che Dio ti indica. In fondo conversione è sinonimo di inversione.
Ma quindi, per essere discepoli l’importante è condurre una vita onesta e non essere eccessivamente legati alle sicurezze che possono darmi un lavoro, una casa, una famiglia? Ni. Non basta. Se vogliamo prendere tutto l’Amore che Gesù ci offre, c’è una cosa che dobbiamo davvero lasciare: noi stessi. A volte siamo così accartocciati in noi stessi che Gesù non riesce a scrivere una pagina nuova della nostra vita. Dobbiamo lasciare il nostre ego smisurato, quella patologica smania di mettere sempre noi stessi al centro del mondo e quell’atteggiamento saccente da autosufficienti, di chi basta a se stesso. Ecco cosa dobbiamo lasciare. Quanto è difficile, lo so. Ma ne vale la pena perché quello che ci attende sarà soltanto Amore. Un Amore puro che gli altri non possono percepire. Puro perché non si è lasciato macchiare dalla malizia o dall’egoismo. Un Amore fatto di gesti celati, di sguardi segreti, di parole non dette. Un Amore che cresce come il seme sotto terra, che nessuno vede ma che lentamente muore a se stesso, mette radici, sboccia e diventa secolare. Solo allora si può capire che grande cosa è quest’Amore. E sei semplicemente felice di averlo incontrato. In virtù di questo amore, mostratosi in uno sguardo, sei pronto a lasciare tutto. Non si spiegherebbe altrimenti come mai dei giovani, con le loro sicurezze, lascino tutto all’improvviso per seguire un perfetto sconosciuto che, tra l’altro, gli promette una cosa stramba come quella di diventare “pescatore di uomini”. Il segreto è nello sguardo. Nello sguardo di Gesù quanto nello sguardo della persona amata che un giorno abbiamo incrociato nella nostra vita, stravolgendocela. In virtù di quello sguardo d’amore i due hanno lasciato il padre e la madre e sono diventati una carne sola, una vita intera. Ecco quello che i discepoli hanno visto nello sguardo di Gesù, niente di più e niente di meno di una dichiarazione d’amore totale.
A noi ora la scelta: possiamo lasciare tutto e prendere Gesù o prendere tutto e lasciare Gesù. Il giovane ricco, prototipo di tanti cristiani “praticanti”, quando seppe che la condizione necessaria per seguire Gesù era di lasciare tutto, se ne andò triste. La tristezza di chi, fra prendere o lasciare, ha deciso di aspettare.