III DOMENICA DI PASQUA /A

Il brano di Emmaus è uno di quelli che resta nel cuore. Ogni volta che lo leggi ha sempre qualcosa di nuovo da consegnare all’anima. Sarà perché il viaggio andata e ritorno da Gerusalemme ad Emmaus è così simile alla nostra vita. Lungo quella strada incontriamo delusione e stupore, dubbio e fede, dolore e gioia, fatica e corsa, morte e vita.

Ma troviamo anche un’altra cosa che riguarda la vita di tutti noi: l’amicizia. Nei primi versetti vengono elencate tutte le caratteristiche di una bella amicizia: un cammino e una meta comune, il dialogo, lo stare insieme nei momenti difficili supportandosi a vicenda. I due discepoli di Emmaus avevano anche una stessa speranza che però, ora, sembra infranta. Che bello poter contare su un’amicizia autentica lungo la strada della nostra vita, soprattutto quando diventa in salita. Tanti sono bravi solo ad applaudirci se le cose ci vanno bene, ma pochi sanno come asciugarci le lacrime. Bisogna circondarci di quegli amici che hanno il coraggio di dirci la verità e che ci guardano sempre con gli stessi occhi, senza lasciarsi influenzare dal tempo che passa o dalle mutate situazioni della vita. Scriveva Antoine de Saint-Exupery: «Amico mio, accanto a te non ho nulla di cui scusarmi, nulla da cui difendermi, nulla da dimostrare: trovo la pace… Al di là delle mie parole maldestre tu riesci a vedere in me semplicemente l’uomo». Sono questi amici che, a volte, ci salvano la vita.

L’amico Gesù si avvicina ai discepoli di Emmaus e, anche se non lo riconoscono, il Risorto vede in loro semplicemente l’uomo, con tutte le sue fragilità e cecità. L’amicizia con Gesù ci aiuta a rialzarci, quando le altre persone neanche sapevano che eravamo caduti. Ed è subito pace. Gesù non perde occasione per accostarsi alla nostra strada ed è disposto pure a non essere riconosciuto, a volte ad essere considerato invisibile, pur di stare con noi. I discepoli aspettavano Gesù da tre giorni, ma quando lo incontrano «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo».  Che significa? Da cosa erano impediti? Forse quando ci si abitua a vedere solo il male è più difficile riconoscere il bene; se vediamo, negli altri e nel mondo, solo l’odio, la violenza, l’egoismo quando poi incontriamo l’amore non sempre siamo capaci di riconoscerlo. I discepoli di Emmaus avevano gli occhi oscurati dalla disperazione e perciò hanno camminato con la Speranza senza accorgersene. Quante volte anche noi non ci accorgiamo della presenza di Gesù nella nostra esperienza umana. Gridiamo “Dio dove sei?” e non lo riconosciamo nei tanti piccoli o grandi segni del suo amore per noi. Anche chi ci sta accanto, che sia un amico o un perfetto sconosciuto, può essere trasparenza di Dio.

Tuttavia c’è un modo per allenare gli occhi a riconoscere l’azione di Dio nella nostra vita ed è lo stesso Gesù ad insegnarlo oggi ai discepoli di Emmaus; infatti «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». San Girolamo diceva che se non conosciamo le Scritture non possiamo conoscere Gesù. Come facciamo a dire che Dio non c’è o ci ha addirittura abbandonati se in realtà non lo conosciamo? Quando giravo per le case per la benedizione delle famiglie, mi è capitato di vedere la Bibbia in delle belle librerie, accanto alla Treccani e all’Enciclopedia medica… cioè al ripiano dei libri mai letti ma che fanno scena. Sarebbe bello, invece, trovare in ogni casa un angolo della Parola dove è riposta una Bibbia, non in bella mostra, ma vissuta: sottolineata o con un punto interrogativo su una parola che non si è capita, con delle note personali accanto ad un versetto, con un segnalibro o un’orecchietta, con una pagina sgualcita o raggrinzita perché, leggendola, vi è caduta una lacrima sopra. Papa Francesco, più volte, ha invitato a portare sempre con sé il Vangelo. Dovremmo trovare il tempo durante la giornata di poterlo anche sfogliare, visto che per scorrere bacheche e profili il tempo esce sempre. Per una volta, invece di farci i fatti degli altri, facciamoci i fatti di Dio! Al posto di guardare le “storie” che i vari social propongono, potremmo andare a vedere la storia di Dio. Leggiamo, meditiamo, approfondiamo, preghiamo la Parola e faremo la stessa esperienza dei discepoli di Emmaus: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».

Ma i discepoli riconoscono veramente Gesù solo quando spezza il pane. Una conoscenza piena di Gesù parte dalle Scritture e trova il suo compimento nell’Eucarestia e alla fine di ogni messa ognuno di noi è inviato ad uscire fuori e a testimoniare a tutti quello che abbiamo visto, così come i discepoli di Emmaus ritornano di corsa a Gerusalemme per dire agli altri di aver incontrato Gesù. È singolare il fatto che il Gesù post-pasquale non venga mai riconosciuto dal suo aspetto o da quello che dice, ma sempre e solo da quello che fa. Mi piace pensare, allora, che Gesù ha il volto di ciascuno e che si fa riconoscere tramite le nostre azioni. Così tutti possono incontrare Gesù attraverso di noi, perché non bastano le belle parole per dirsi cristiani, ma occorre una seria e coerente testimonianza di vita. Certo non è semplice essere autentici discepoli oggi, ma, in realtà non lo è mai stato. Neanche ai tempi dello stesso Gesù, quando di fronte alla croce gli apostoli sono scomparsi o addirittura lo hanno rinnegato. Tuttavia il Risorto non ci abbandona mai lungo il cammino, anzi cerca sempre nuove occasioni per incontrarci. È fedele alla sua promessa: «Io sono con voi tutti i giorni».

Allora facciamo nostra la preghiera dei due di Emmaus: resta con noi Signore!

Resta con noi nonostante la nostra cecità, il nostro dubbio, il nostro peccato. Resta con noi Signore e insegnaci le Scritture. Resta con noi Signore e spezza il pane per noi. Resta con noi Signore perché si fa sera e il buio minaccia la luce. Resta con noi Signore, sempre! E noi non avremo più paura.

Buon cammino, insieme.

 

Posted by:don Ivan Licinio

Classe 1983, sacerdote della Prelatura territoriale di Pompei dal 2011. Attualmente Vice Rettore del Pontificio Santuario della Beata Maria Vergine del Santo Rosario e Incaricato del Servizio per la Pastorale Giovanile. Autore di diverse pubblicazioni, il mio ultimo libro è "Se anche la fede è tra le Stranger Things" - Una serie TV per ogni stagione della gioventù, edito da Effatà editrice.

2 risposte a "Ciechi da non credere!"

  1. Se vieni a casa mia, la bibbia la trovi sul comodino e un po’ sgualcita e con segni di penna. Un po’ mi dispiace perché mi era stata regalata da un bravo sacerdote che ora non c’è più.. Grazie per lo spunto di riflessione e.. Buon cammino insieme! 😊

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  2. AMICO

    di Fausto Corsetti

    Quante volte iniziamo e terminiamo la giornata in solitudine, avendo come unico compagno di viaggio noi stessi e il nostro lavoro o studio? E quante volte anche un incontro veloce con un nostro amico o un sms che ci arriva mentre siamo di ritorno in auto, in treno, seduti soli o accanto ad un finestrino che l’ultima volta di mattina era illuminato dal sole e ora è buio…ci fa sobbalzare e sorridere?
    Non si può vivere senza l’amico o l’amica; gli amici sono il tesoro più bello che esista. Non puoi stare senza averli sentiti per un giorno intero…
    Nella vita sciatta di tutti i giorni noto spesso, però, con triste ripetizione lo sbandieramento quasi sfrontato – e a tratti cafone – di inutili trofei di relazioni, segno dei tempi; brutte copie di un sentimento che non s’incontra più: amicizia?
    Più la gente disconosce principi e valori o, comunque, carica di valori inconsistenti la propria quotidianità, più la società diventa di massa, più l’amicizia diventa difficile e impraticabile. A meno di non intendere con questa parola amori che non si ha il coraggio di intraprendere, rapporti di coppia resi esangui dall’abitudine, conoscenze utili a scambi di favore, relazioni un po’ ipocrite e un po’ convenzionali nella speranza che un giorno possano tornare vantaggiose.
    Ho l’impressione che oggi si sia quasi dominati da una sorta di grammatica delle relazioni basata esclusivamente sul “singolare” e il “plurale”.
    Nel “singolare” incontriamo la solitudine del nostro intimo che vagheggia mondi e ideazioni che mai avremmo il coraggio di rivelare in pubblico, che si inabissa in dolori che la buona educazione ci induce a non manifestare, a tacere; che si esalta in entusiasmi che sfuggono a ogni misura e moderazione. Conosciamo quello che nel pubblico verrebbe additato come eccesso o follia. Anche se è proprio questa follia a darci vita, senso e coraggio.
    Al “plurale” dobbiamo dar prova di sano realismo che ci chiede di stare ai fatti, di controllare le emozioni, di misurare le parole, di essere più una risposta agli altri che propriamente noi stessi. E tutto questo per essere accettati, riconosciuti, identificati, e nei casi estremi persino applauditi.
    Ma l’amicizia non abita il “singolare” e il “plurale”, perché conosce unicamente il “duale”, categoria grammaticale con cui gli antichi Greci coniugavano le loro forme verbali quando il discorso era fra due, carico di quella valenza simbolica del linguaggio, che ben conoscono gli innamorati in quel breve periodo in cui non riescono a concepire se stessi senza l’altro.
    Tra l’anonimato del pubblico e la solitudine del privato, l’amicizia, che abita il “duale”, consente di comprendere tutte quelle eccedenze di senso che nel segreto la nostra anima crea. Eccedenze che in pubblico potrebbero apparire come segni di follia, mentre nell’ascolto accogliente dell’amicizia possono dirsi e, invece di restare soffocate e inespresse, svelare la nostra intima verità. Per questo, penso, non si possono avere molti amici, ma soltanto quei pochissimi che corrispondono alle sfaccettature della nostra anima, a cui svelare il nostro segreto che l’altro segretamente custodisce.
    Non solo per confidarci, cercare consenso o conforto, ma anche e soprattutto per vedere che cosa nella comunicazione duale il segreto ha da svelarci. Silenziosamente, a poco a poco, incontro dopo incontro. Perché così chiede il ritmo dell’anima, che vuole mostrarsi e insieme custodirsi, per non spegnere le sue creazioni e nello stesso tempo non disperderle nel rumore del mondo.
    Se questa è l’amicizia, spesso la nostra cultura, così incline solo all’anonimato del pubblico e alla solitudine del privato, non è la più idonea a favorire quell’incontro a tu per tu con quello sconosciuto che ciascuno di noi è diventato a se stesso, e che lo sguardo accogliente dell’amico potrebbe iniziare a raccontare e a delineare nei contorni. Perché in fondo è proprio la scoperta di noi stessi che l’amicizia favorisce, propizia, accoglie.

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