
Perché usare le serie tv per parlare di fede ai giovani?
La catechesi non è nuova all’utilizzo di film, canzoni, immagini per trasmettere la fede, anche perché tutte queste realtà, così come l’arte in generale, non sono mai state insensibili al richiamo della spiritualità o più in generale della religiosità. Ora però ci troviamo davanti ad un fenomeno diverso. Le serie tv sono attualmente una delle forme d’arte che più profondamente incide “nella nostra natura” di essere umani. Secondo Luca Bandirali ed Enrico Terrone, autori del libro Filosofia delle serie TV. Dalla scena del crimine al Trono di Spade, esse rappresentano la sintesi contemporanea delle due grandi forme narrative che hanno dominato i secoli precedenti, la forma epica del romanzo e la forma drammatica del cinema e del teatro. Da un certo punto di vista si può parlare di un cambiamento epocale della narrazione, come è accaduto per la nascita del romanzo nella meta del XVII secolo, lo sviluppo del film nei primi anni del XX secolo o l’emergere del videogame come modalità narrativa a cavallo fra gli anni ’80 e ’90. Solo che le serie tv non sono un videogioco ben confezionato dove seguiamo qualcuno che deve vincere a tutti i costi, ma una storia interpretata da essere umani che trasmettono sistemi di valori, ferite e concezioni del mondo. Succede, dunque, che le serie tv diano risposte on demand a quegli interrogativi che restano inascoltati o inespressi nella vita reale.
Oggi è sotto gli occhi di tutti quanto le serie tv abbiano conquistato sempre più spazio nella vita dei giovani, e non solo. Anche Note di Pastorale Giovanile, storica rivista per gli operatori di pastorale giovanile, da quest’anno ha inserito una rubrica sulla narrazione contemporanea dell’uomo nelle serie tv. Il solo Netflix conta in Italia più di quattro milioni e mezzo di abbonati, seguito subito dopo da Amazon Prime video e Disney+. Gli abbonamenti alle piattaforme di streaming sono aumentati esponenzialmente durante la pandemia e contestualmente anche l’offerta dei contenuti. Ne consegue che praticamente tutti, in un modo o in un altro, conosciamo la storia o i personaggi di questa o quella serie tv.
Anche per questo si può dire, con altrettanta ragionevolezza, che le serie tv sono diventate un vero e proprio luogo di incontro con e per i giovani. Non un rifugio virtuale, ma uno spazio capace di stimolare la possibilità di riflettere e di confrontarsi su tematiche che non si erano ancora prese in considerazione o che, magari, si imparano ad affrontare da nuovi punti di vista. Identificandosi con un protagonista si possono fare mille esperienze diverse, esplorando i grandi temi della vita, dell’amore e della morte comodamente seduti sul divano di casa.
Dunque mi sono chiesto: le serie tv potrebbero rientrare in quegli «ambienti adeguati» che, nell’esortazione apostolica Christus vivit, papa Francesco ci invita a preparare per accogliere i giovani ed entrare in dialogo con tutti loro, soprattutto con quelli un po’ lontani dall’esperienza della fede?
Credo che anche le serie tv possano essere annoverate in quel “linguaggio digitale” citato nel recente Direttorio per la catechesi. Il testo del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, dopo aver riconosciuto che il mondo digitale rappresenta ormai «un luogo irrinunciabile per raggiungere e coinvolgere i giovani», invita le comunità cristiane a «corrispondere alle nuove generazioni con gli strumenti che sono ormai di uso comune» (cfr. nn. 213-217; 359-372). D’altronde alcune storie della Bibbia non hanno nulla da invidiare alle trame di Games of Thrones o di Friends; per non parlare di quelle serie tv che sono totalmente intrise di riferimenti a fatti o personaggi biblici, sebbene con interpretazioni molto stravaganti: una per tutte Lucifer.
Anche per questo motivo, è scontato ricordare che le serie tv non possono essere prese tout court a modello per la trasmissione della fede; come tutte le altre espressioni dell’arte, della musica o della letteratura, anche le serie tv restano uno strumento. La vera domanda non è come utilizzare le serie tv per evangelizzare, ma come diventare una presenza evangelizzatrice in questo luogo abitato dai giovani. Non si tratta di invaderlo, ma di conoscere la potenza del mezzo e usarne tutte le potenzialità e le positività, con la «consapevolezza, tuttavia, che non si fa catechesi solo usando gli strumenti digitali, ma offrendo spazi di esperienza di fede» (Direttorio per la catechesi, n. 371).
La scommessa del mio nuovo libro sta tutta qui. Dialogare con i giovani (e non solo) sui grandi temi della vita e della fede stando comodamente seduti al MacLaren’s o nel fortino Byers, lontani da occhi indiscreti. Sembrerebbe che, da quando sia stata inventata la TV a colori, l’uomo abbia smesso di sognare in bianco e nero. Questo mio piccolo contributo possa essere di aiuto per realizzare il sogno di una Chiesa sempre più con i colori dei giovani.
Vi ricordo che il mio libro “Se anche la fede è tra le Stranger Things“, uscirà il 18 febbraio prossimo edito da Effatà editrice ma volendo è possibile già preordinarlo su Amazon cliccando qui > PREORDER.
Buon cammino, insieme.
