– COMMENTO AL VANGELO DELLA XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO /A –
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
VANGELO DI MATTEO (22,34-40)
E se lo facessero a me?
Amerai. Un verbo al futuro, non un imperativo, per indicare la strada dell’umanità di ieri, di oggi e di sempre: l’Amore. Dio si propone e non si impone, a scanso di equivoci ci dice che l’unica cosa che realmente vuole da noi è l’amore. Ci viene chiesto di amare Dio e il prossimo: questo binomio è inscindibile. Non si può amare Dio senza amare il prossimo e non si può amare il prossimo senza amare Dio. Papa Francesco, nella sua ultima udienza generale, ha detto che: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede».
Per questo motivo non ha mai alcun fondamento la violenza nel nome di Dio. Anzi, Gesù ci dice che quando non amiamo l’altro non amiamo noi stessi, quando facciamo del male all’altro lo facciamo a noi stessi e quando togliamo qualcosa all’altro ancora lo togliamo a noi stessi. La domanda da farsi, nel bene e nel male, è sempre la stessa: «E se lo facessero a me?». Nella prima lettura di oggi, tratta dal libro dell’Esodo, il Signore è molto chiaro quando dice di non molestare, non opprimere né maltrattare il prossimo o approfittarsi di lui. Non ci può essere amore per Dio che non si traduca perciò in amore per l’uomo, soprattutto per il debole, il povero, l’emarginato, lo straniero.
Dio ci ha amati per primo e si è fatto uomo per insegnarci l’Amore. Ma proprio nel mistero dell’incarnazione troviamo la dimensione totalizzante dell’amore. Gesù ci insegna che non si può amare con le mezze misure: si deve invece amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente. Relazioni, fede e intelligenza devono essere a servizio dell’amore donando, quindi, tutto se stessi così come Gesù si è donato interamente per amore.
Ma, nel rispondere al dottore della legge, Gesù sotto sotto ci sta dando anche un altro comandamento: lasciati amare! Se scopriamo di essere amati da Dio per ciò che siamo realmente, allora, e solo allora, potremo amare noi stessi, accogliere e redimere quelle parti oscure dell’anima che a lungo abbiamo deciso di mascherare o negare. Di conseguenza, una volta sperimentato l’amore salvifico di Dio, non potremo fare a meno di condividerlo amando il fratello allo stesso modo, andando oltre l’antipatia, l’orgoglio e le convinzioni personali. Lo ameremo per quello che è: un figlio di Dio, un nostro fratello.
Su questo modo di amare Dio e il prossimo come noi stessi si gioca la credibilità della nostra professione di fede. San Paolo, nella seconda lettura, elogia la comunità di Tessalonica perché è stata capace di diventare un modello di fede autentica tanto che si «è diffusa dappertutto». Sull’esempio di questa comunità siamo chiamati ad essere un esempio per chi è ancora alla ricerca dell’amore di Dio. Credenti e credibili soprattutto fuori dalle nostre chiese, lì dove dovremmo essere riconosciuti per il modo con il quale amiamo prima ancora per come preghiamo.
Tutti hanno bisogno di sentirsi amati. A noi oggi è chiesto di amare come Dio comanda.
Buon cammino, insieme.
