
La prima telefonata nella storia della Pompei moderna fu fatta dal beato Bartolo Longo a san Pio X. Eppure il rapporto fra i due non fu da subito così confidenziale.
Dopo Leone XIII, che nel frattempo aveva insignito Bartolo del titolo di Commendatore, salì al pontificato Papa Pio X. Iniziano gli anni più tormentati del Fondatore di Pompei nei rapporti con la Santa Sede. Già negli ultimi anni del pontificato di Leone XIII non andava giù a molti Cardinali ed ecclesiastici romani che a un Santuario Pontificio, che aveva un nome sul piano internazionale, si permettesse una gestione libera dai normali canali di controllo usati a Roma; inoltre lo scandalo maggiore, per la mentalità dell’epoca, era il fatto che due laici, marito e moglie, comandassero preti e frati.
Il periodo nero andò dal dicembre 1904 al gennaio 1906. Pio X e i suoi collaboratori sottoposero i due Fondatori a una prova durissima. Bartolo riassunse la prima udienza con il Papa del 24 novembre 1903 con una frase laconica: «mi prese per un ladro». Una serie di incomprensioni e le cattive informazioni che giungevano a Roma, misero in condizione Pio X di separare l’amministrazione del Santuario da quella delle Opere, e di mettere in atto una sorta di “commissariamento” con l’invio di una delegazione pontificia. Bartolo si trovò così ad affrontare due fronti: quello interno e quello esterno. Se da un lato desiderava ubbidire al Papa, come aveva sempre fatto, dall’altro non sapeva come fare, visto che la separazione dell’amministrazione imposta da Roma danneggiava tutta l’opera pompeiana che lui aveva pensato e organizzato come una sola cosa. A rendere più difficile la sua posizione concorrevano poi altri fattori. Le accuse a Roma partivano soprattutto da due gruppi di persone dalle quali, invece, si sarebbe dovuto aspettare la migliore difesa: i padri domenicani che aveva chiamato a Pompei per la gestione del Santuario, e i propri dipendenti o ex dipendenti. Nel frattempo c’era chi nel suo entourage (a cominciare dalla battagliera Marianna) non riusciva in quel momento a restare al suo posto e si lasciava andare ad esternazioni poco diplomatiche. Infine c’erano anche gli eredi di p. Radente che in tribunale contestavano a Bartolo il possesso del Quadro della Madonna che, diventato ormai così celebre, volevano sfruttare a loro vantaggio. Tutte queste cose, unite alla bocciatura da parte del Papa del nuovo Istituto a favore delle figlie dei carcerati, ai problemi di ordinaria amministrazione delle opere e al chiasso che la stampa faceva su tutta questa situazione, portarono Bartolo ad un vero tracollo psicofisico. Furono per lui «giorni tristissimi» durante i quali «si sentiva impazzire». Decise così di ritornare a Latiano e di affidare tutte le questioni ai suoi avvocati. Una volta a casa si poté consigliare con gli amici di sempre, recuperare le forze e riflettere sul futuro di ciò che aveva fondato. Intanto a Pompei l’attuazione del decreto che separava le amministrazioni si presentava sempre più complicata e molte volte era di scandalo per i benefattori. Bartolo, recuperate le forze, rientra a Pompei e chiede di incontrare il Papa per proporre una soluzione alla difficile situazione venutasi a creare. Nell’udienza concessagli il 9 febbraio 1906, il Fondatore rinunzierà a tutto ciò che ancora possedeva ed era a lui intestato a Valle di Pompei, donandolo alla Santa Sede. Papa Pio X resterà meravigliato ed incredulo di fronte a questa decisione mentre molti vedranno in quest’atto di Bartolo, che di fatto avviava alla conclusione una questione dolorosa e complessa, un «autentico miracolo della Madonna di Pompei».
Bartolo restava a Pompei per continuare la sua opera ma l’amministrazione del Santuario e degli Istituti di Carità veniva affidata ad un Delegato pontificio. Il delicato incarico fu affidato a mons. Augusto Silj, che giunse a Valle nella serata del 20 febbraio. Bartolo volle che tutta la grande famiglia pompeiana si raccogliesse nel largo antistante la stazione della Circumvesuviana. All’arrivo del treno gli occhi di tutti si appuntarono sulla figura del prelato; il Fondatore gli andò incontro a capo scoperto e piegò a terra il ginocchio dinanzi al Delegato Pontificio, che immediatamente lo rialzò amorevolmente e lo abbracciò. Quel gesto dissipò in un attimo l’apprensione dei presenti e gli applausi scoppiarono.
Poco dopo Bartolo scriverà:
«Usciti fuor del pelago alla riva, il nostro primo sentimento fu un intimo ineffabile sentimento di liberazione e di pace; ma oggi dopo un mese da quell’atto, meravigliati e commossi, vediamo come Dio si è servito degli avvenimenti pompeiani per preparare alla sua benedetta Madre nella Valle del Vesuvio la più gloriosa apoteosi. Sul gran teatro della vita, tutti gli uomini, pur agendo liberamente, finiscono col concorrere a quei grandi poemi, che attraverso i secoli compone vigile e onnipotente la Provvidenza divina. Anche a Valle di Pompei gli uomini, agendo con diversi criteri, senza neppure pensarlo, alla fine hanno composto un novissimo poema di misericordie divine». (B. Longo, Il Rosario e la Nuova Pompei, 1906).
Tratto dal mio libro Bartolo Longo – Alla Madonna serve un avvocato (Ed. Shalom, 2018).
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