In occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù – giunta alla sua trentatreesima edizione e che quest’anno si celebra a livello diocesano la Domenica delle Palme – Papa Francesco ha sollecitato la Chiesa e la comunità degli adulti a farsi carico delle nuove generazioni e a fare ammenda dei propri errori in relazione ad esse. C’è il rischio, però, che restino solo degli inviti e che non diventino provocazioni feconde per la riflessione su nuove strategie pastorali e di dialogo intergenerazionale.
Prendendo in considerazione solo alcuni passaggi del suo messaggio per la XXXIII GMG e del libro Dio è giovane, nato dal dialogo con il giovane giornalista e scrittore Thomas Leoncini, si può capire quanto Papa Francesco desideri realmente riformare anche il rapporto della Chiesa con i giovani. La decisione di convocare il prossimo Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale“, segue proprio questa direzione.

Il Papa è attento a non scadere nell’esaltazione della giovinezza in senso lato ma richiama direttamente i giovani alle loro responsabilità, invitandoli ad aprirsi a Dio, a fidarsi della Chiesa e degli altri, a vivere relazioni autentiche e a non lasciare «che i bagliori della gioventù si spengano nel buio di una stanza chiusa in cui l’unica finestra per guardare il mondo è quella del computer e dello smartphone». Allo stesso tempo, però, chiede, tanto ai giovani quanto agli adulti, di «aprire spazi nelle nostre città e comunità per crescere, per sognare, per guardare orizzonti nuovi!». Non bisogna – continua il Papa – «mai perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. I cristiani autentici non hanno paura di aprirsi agli altri, di condividere i loro spazi vitali trasformandoli in spazi di fraternità». Papa Francesco invita spesso a non aver paura perché, in fondo, sa che forse è proprio questo il problema del dialogo intergenerazionale: la paura. In alcuni contesti, ecclesiali e civili, siamo passati da quel «non abbiate paura di essere giovani» di San Giovanni Paolo II, all’aver paura dei giovani!
Abbiamo paura dei giovani quando ci pongono domande scomode alle quali non sappiamo più rispondere, visto che per troppo tempo abbiamo dato risposte a domande che non ci avevano fatto… Abbiamo paura della novità che i giovani portano intrinsecamente con sé, adducendo ancora la giustificazione del “si è sempre fatto così”. Abbiamo paura che i giovani ci rubino il posto o che non ne siano all’altezza perché inesperti. Infine abbiamo paura delle paure dei giovani perché, dentro di noi, siamo consapevoli che dove c’è un giovane che ha paura c’è o c’è stato un adulto che ha fallito la sua missione. Per questo motivo Papa Francesco dice che nei giovani c’è «una paura “di sottofondo” che è quella di non essere amati, benvoluti, di non essere accettati per quello che sono. Oggi, sono tanti i giovani che hanno la sensazione di dover essere diversi da ciò che sono in realtà, nel tentativo di adeguarsi a standard spesso artificiosi e irraggiungibili. […] Altri temono di non riuscire a trovare una sicurezza affettiva e rimanere soli. In molti, davanti alla precarietà del lavoro, subentra la paura di non riuscire a trovare una soddisfacente affermazione professionale, di non veder realizzati i propri sogni». Molte di queste paure sono responsabilità della comunità educante e delle vecchie generazioni. Ecco perché è necessario per gli adulti riprendere il gusto di sognare e camminare insieme ai giovani, perché solo così la paura si trasforma in uno strumento di crescita e non diventa una zavorra esistenziale; solo così possiamo tentare di riparare i danni che abbiamo già causato alla crescita comune e al reciproco rispetto generazionale.
Questo cammino è diventato urgente più che mai sia per la Chiesa sia per la comunità civile. Il rapporto “I giovani d’Europa, tra speranza e disperazione” che Caritas Europa ha curato sui temi della povertà giovanile e dell’esclusione sociale, dimostra la «crescente esclusione di uomini e donne giovani, sentimenti emergenti di ingiustizia intergenerazionale» e denuncia che «la promessa europea di pari opportunità e di livellamento delle disparità regionali è stata infranta».
«Dovremmo chiedere perdono ai nostri ragazzi – dice il Papa nel libro “Dio è giovane” – perché non sempre li prendiamo sul serio. […] Non sempre li aiutiamo a vedere la strada e a costruirsi quei mezzi che potrebbero permettere loro di non finire scartati. Spesso non sappiamo farli sognare e non siamo in grado di entusiasmarli. […] Gli adulti spesso sradicano i giovani, estirpano le loro radici e invece di aiutarli a essere profeti per il bene della società, li rendono orfani e scartati. I giovani di oggi stanno crescendo in una società sradicata».
Individuare, perciò, ed aprire nuovi spazi di incontro nelle Città e nelle Comunità cristiane, così come suggerisce il Papa, non significa ricalcare canovacci triti e ritriti ma creare nuovi luoghi ed occasioni che sappiano realmente andare incontro alle necessità di una generazione profondamente cambiata e che ha la possibilità di cambiare profondamente questo mondo. Si tratta di ripensare anche le strategie di incontro, di formazione e di trasmissione della fede. Il classico “gruppo parrocchiale” non riesce più a rispondere alle attuali esigenze dei giovani. Rispetto al passato sono cambiate le fasce orarie, le modalità di accoglienza, le problematiche e finanche la percezione del luogo dove ci si riunisce. Forse è finita l’epoca del “facciamo un cerchio” o degli incontri modalità comunità di recupero. I giovani hanno bisogno di luoghi che possono personalizzare, dove lasciano o ritrovano qualcosa di loro e che li possa far sentire a casa; di un luogo dove possono esprimere il loro potenziale liberamente e incontrarsi senza obbligarli a mediazioni o filtri, un luogo dove sanno di trovare qualcuno che ha fiducia in loro ed è sempre pronto a suggerirgli nuove direzioni per il cammino. Ecco la Chiesa. A volte ci preoccupiamo di non fargli mancare niente, di far trovare loro un ambiente accogliente e munito di ogni comfort o tecnologia all’ultimo grido, eppure ci rendiamo conto che non basta. Perché? Perché non hanno contribuito loro a costruire quell’ambiente e quindi, per quanto apprezzino la nostra buona volontà, lo vedono più simile ad un’aula che ad un ritrovo. Ci sono realtà, invece, che nonostante il passar del tempo, hanno conservato la loro valenza aggregativa e formativa perché sono state capaci di adattare luoghi e metodi al cambiamento dei tempi, senza per questo mortificare o annacquare i contenuti del messaggio che desiderano trasmettere alle nuove generazioni. L’Oratorio, ad esempio, è una di queste realtà che, negli ultimi anni, ha visto crescere l’attenzione della Chiesa su di sé proprio perché ancora riesce a reggere in un contesto dove tutti gli altri arretrano. Ma ci sono anche diverse esperienze di Centri giovanili e di luoghi di aggregazione legati allo sport o all’impegno sociale che riescono con successo ad aggregare il mondo giovanile e a proporre loro un percorso di fede e di vita.
Tuttavia, per quanto il Papa si sforzi, manca ancora in tantissime realtà ecclesiali locali una sensibilità diffusa sul tema dei giovani e della fede. Forse anche per questo c’è tanta attesa per quello che verrà fuori dal prossimo Sinodo dei Vescovi. Per il momento è dura a morire la pastorale scenografica, cioè quella prassi di ricordarsi dei giovani solo quando si tratta di riempire i luoghi degli eventi ecclesiali senza mai renderli attori protagonisti. La tentazione di poter vantare i giovani fra le proprie file non colpisce solo i partiti ma anche la Chiesa. In molte Diocesi viene ancora chiesto agli incaricati per la Pastorale Giovanile di “trovare i giovani” o di “prendere i giovani” per portarli a quell’evento, all’incontro con il Vescovo o ad una qualsiasi altra manifestazione dove “sarebbe opportuno che si mostrasse il volto giovane della Chiesa”. Ecco la scenografia: bisogna mettersi in mostra e si usano i giovani come quinte. Magari ci si fa pure un bel selfie insieme. Questo per dire che l’attenzione ai giovani non è fra le priorità di tutti i Pastori né tantomeno di tutti i sacerdoti di una Diocesi. Molte volte si delega al sacerdote più giovane la responsabilità di portare avanti la pastorale giovanile ma, in una realtà presbiterale sempre più gerontocratica, questi resta vittima delle medesime difficoltà dei giovani di cui deve prendersi cura. Per cui il “don giovane dei giovani” sarà sempre visto dagli altri come l’ultimo arrivato, come quello che deve ancora imparare e che si illude di cambiare tutto ma “ci abbiamo già provato”, “non si può fare”. Questo è l’atteggiamento di chi nella vita ha deciso di starsene seduto ma ha la presunzione di insegnare agli altri come si corre. Il giovane invece, dice Papa Francesco, è colui che «va con due piedi come gli adulti, ma a differenza degli adulti che li tengono paralleli, ne ha sempre uno davanti all’altro, pronto per partire, per scattare. Sempre lanciato in avanti».
Credo che sia giunto il momento per la Chiesa e per la società civile di fare proprio questo passo in avanti nel loro rapporto con i giovani. Il Papa desidera che, in particolare nella Chiesa, vengano affidate ai giovani «responsabilità importanti, e che si abbia il coraggio di lasciargli spazio». Spero che questo appello non resti inascoltato e prego affinché la Chiesa tutta trovi questo coraggio. Allo stesso modo mi auguro che il Sinodo dei Vescovi sui Giovani non si riduca solo nell’ennesimo documento magisteriale, ma che davvero realizzi quel cambiamento di direzione che non metta più la Chiesa di fronte ai giovani, quasi come guardia di frontiera, ma accanto ai giovani per condividerne il cammino e sostenerne il passo.
Ci costerà certamente fatica, ma di sicuro sarà un viaggio entusiasmante!
Buon cammino, insieme.
“A tutti i giovani, ma non solo a loro, dico: non abbiate paura delle diversità e delle vostre fragilità; la vita è unica e irripetibile per quello che è; Dio ci aspetta ogni mattina quando ci svegliamo per riconsegnarci questo dono.”
Papa Francesco