Meditazione per il Buongiorno a Maria di Maggio 2017
Testo di riferimento: Rm 15,1-7

 

«Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli». Carissimi amici del Buongiorno a Maria, vi devo confessare che, meditando questo brano, mi è venuta la tentazione di fare una domanda all’Apostolo. Carissimo Paolo ma ci hai visti bene? Noi siamo i forti? Con tutti i nostri problemi, noi dovremmo essere quelli che portano le infermità dei deboli? Ma forse è il contrario! E invece no, a pensarci bene, Paolo ha ragione: siamo proprio noi i forti, e sapete perché? Perché noi abbiamo la speranza! È la speranza la nostra forza. Ma di quale speranza parliamo però? Il mondo oggi intende la speranza in due modi. Da un lato, poiché non la può né vedere, o toccare, né testarla clinicamente, la speranza è considerata un’illusione inutile; siamo passati dagli antichi che dicevano, spes ultima dea, “la speranza è l’ultima a morire”, al nostro moderno detto: “chi vive di speranza, di speranza muore”. Dall’altro lato, invece, si confonde, molte volte, la speranza con l’ottimismo: quest’ultimo è un atteggiamento umano che dipende da tante cose. Sperare non vuol dire guardare il “bicchiere mezzo pieno” o trovare sempre il lato positivo delle cose. Perché, poi, quando arrivano i problemi seri, capita che i bicchieri si rompono e non c’è una cosa che vada bene. E alla fine ce ne usciamo alzando le spalle e dicendo: speriamo…

Invece la nostra speranza, la nostra forza, ha un nome ben preciso: Gesù. E grazie alla Vergine Maria, noi possiamo toccare e vedere la Speranza! E, attraverso di noi, anche gli altri possono fare esperienza di speranza. Ne abbiamo tanto bisogno, in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male e alla violenza che ci circondano, davanti al dolore di tanti nostri fratelli. Ci vuole speranza! Ci vuole Gesù! La speranza è un suo miracolo costante. I miracoli di guarigione che ha fatto erano soltanto segni di quello che sta facendo adesso. Il miracolo di rifare tutto nella mia vita e nella tua vita. Rifare. Ecco il motivo della nostra speranza: Cristo, attraverso il suo Spirito, non migliora ma fa nuove tutte le cose, tutte le vite. Noi siamo i forti, perché noi siamo sempre nuovi, sempre ricreati dall’Amore di Gesù, e questo ci permette di offrire a chi si trova nella disperazione, una speranza che non delude. Pompei è immagine di Speranza, oltre che di Fede e di Carità: qui, attraverso l’opera instancabile del Beato Bartolo Longo, uomo della Speranza, dove c’era morte e distruzione è stata ricreata la vita; la vita non soltanto di una Valle, ma la vita di quanti si portavano – e si portano ancora oggi – morte e distruzione nel cuore. Qui a Pompei la Speranza si tocca con mano nelle storie di pellegrini, bambini, madri, profughi, famiglie, ammalti, giovani e anziani in difficoltà, tutti accolti sotto il manto di Maria. E per tutti c’è una nuova possibilità.

Concludo suggerendo un esercizio di speranza: sorridete! Vi prego sorridete! Può sembrare banale, ma il sorriso, quello autentico che sgorga dall’anima, è la più bella espressione di Speranza che possiamo donare agli altri. Una delle prime cose che accade alle persone che hanno smarrito la speranza è che sono persone senza sorriso. Forse sono capaci di fare una grande risata, ne fanno una dietro l’altra, ma il sorriso manca! Il sorriso lo dà la speranza. Non vi chiedo di camminare per strada come se aveste una paresi facciale, ma vi chiedo di esercitarvi a sorridere, perché un sorriso cambia la giornata, ridona forza, vale più di mille parole, ricrea la vita. Donare o ricevere un sorriso significa donare o ricevere speranza. Per me è bellissimo la mattina incontrare tanti di voi all’ingresso della Basilica ed essere salutato con un sorriso. Uno che ti sorride alle 6 del mattino – ed è già sveglio da molto tempo prima – è per forza un cristiano, è uno che ti fa sperare nella parte migliore di questo mondo. Perciò, amici miei, sorridiamo e speriamo. Insegniamo a sorridere e a sperare. Difendiamo i sorrisi e le speranze, soprattutto quelle dei giovani e dei bambini. Quando ci troviamo davanti ad un bambino ci viene da dentro il sorriso perché ci troviamo davanti alla speranza: un bambino è una speranza! Guardate il bambino Gesù in braccio a Maria: sorride, ci sorride.

Signore, è in quel sorriso che noi riponiamo ogni nostra speranza; da quel sorriso noi traiamo la nostra speranza. Sorridici sempre e noi ci impegneremo a sorriderti quando ti incontreremo nel volto dei fratelli. Perché abbiamo imparato che “un giorno senza un sorriso è un giorno perso” (C. Chaplin).

Amen.

Posted by:don Ivan Licinio

Classe 1983, sacerdote della Prelatura territoriale di Pompei dal 2011. Attualmente Vice Rettore del Pontificio Santuario della Beata Maria Vergine del Santo Rosario e Incaricato del Servizio per la Pastorale Giovanile. Autore di diverse pubblicazioni, il mio ultimo libro è "Se anche la fede è tra le Stranger Things" - Una serie TV per ogni stagione della gioventù, edito da Effatà editrice.

Una risposta a "Un giorno senza un sorriso è un giorno perso"

  1. SORRISO DI LUNA

    di Fausto Corsetti

    Quando la sera, sulla strada del ritorno, dopo una lunga giornata di affanni, gli occhi riescono a lasciarsi sorprendere dal primo frammento di luna nuova che si propone discreto ma preciso, in un cielo fresco e nuovo, il cuore si colma di un appagamento inatteso e di un’energia nuova.
    Quel filo di luna, quasi uno schizzo geometrico sospeso nel buio alto e solitario, ha la forza di liberare fantasie interiori capaci di dissolvere tutto ciò che, fino a qualche istante prima, procurava solo stanchezza, resistenza, pesantezza.
    Sollevando lo sguardo verso l’alto, verso quello spicchio di luna coricata, fissata a profondità irraggiungibili, rinascono dentro inspiegabili sentimenti di serenità, di entusiasmo nuovo.
    I passi, abitualmente frettolosi e impastati di quotidiane incertezze, sembrano cercare nuovi sentieri di speranza, mentre gli occhi, insaziabili, annusano nel vento segnali e primizie di primavera.
    Riaffiorano alla mente momenti sereni di giochi infantili, visi sorridenti, lettere d’amore, sogni di un passato lontano. Quel cielo buio, quello sguardo di luna accolgono senza condizioni e allo stesso tempo orientano. Al contrario, gli occhi degli uomini: così facilmente inclini a decidere chi meriti o no attenzione, generosità; pronti a giudicare, facili a sentenziare, esperti nel dare consigli.
    Ogni prima luna nuova, che torna ciclicamente ad affacciarsi nel cielo, non teme di passare inosservata, non chiede di essere ammirata. Si mostra. Si dona. Solo pochi se ne accorgono e la sanno ammirare. Pochi si lasciano avvolgere, affascinare, catturare dal suo mistero, tanto ammaliante quanto fedele.
    A primavera tutto torna a fiorire, ma i più se ne accorgono soltanto quando tutto è già colore.
    C’è un inizio sottile che ai più sfugge.
    Dopo ogni luna nera arriva quella nuova, ma in pochi sanno cogliere il suo primo segnale nel cielo. E’ lì, è a quel principio, che si alimenta la verità del riconoscimento, della trasformazione, del compimento.
    E come tutti sanno le opere grandi sono fatte di dettagli, di piccoli dettagli. Nulla è banale. Niente è inutile.
    Tanti, tanti e piccoli sono i frammenti che colmano di senso la vita. Posti uno accanto all’altro, uno dietro all’altro, lasciano affiorare meraviglia e riconoscenza. Non sono strane, né lontane, neppure diverse o speciali le vie del conforto, della fiducia, quelle che tutti cercano dappertutto.
    Abitano il cielo oscuro che silente sta sopra di noi, sulle nostre impazienze sempre tese a prossimi traguardi da raggiungere. Affollano la primavera che torna ad abitare spazi assopiti dal freddo dell’inverno.
    Nel silenzio, nelle pause delle parole, nella notte, nell’alba, si compie il passaggio, la trasformazione, mentre restano tracciate, indelebili… le vie di ogni nuovo inizio.

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