IV DOMENICA DI QUARESIMA (LAETARE) /A
Le pagine evangeliche di queste domeniche di Quaresima sono tanto lunghe quanto belle. Al centro hanno sempre un incontro fra Gesù e la fragilità dell’uomo. Lo abbiamo visto con la Samaritana domenica scorsa e ora con il cieco nato. Questi due personaggi hanno in comune l’invisibilità. Entrambi sono ignorati, anzi malvisti, dalla comunità a causa dei loro peccati: la samaritana è giudicata per la sua vita sentimentale, mentre il cieco, paradossalmente, per la sua stessa cecità, vista come castigo di Dio per i peccati suoi o della sua famiglia. «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (Gv 9,2). È lenta a morire questa convinzione che Dio si diverta a mandare malattie e catastrofi per punirci dei nostri errori. Resto sempre basito dal fatto che in tantissimi fedeli abbia più presa l’ira di Dio piuttosto che il suo amore.
Ma c’è un’altra cosa che accomuna la Samaritana e il cieco nato: entrambi non chiedono a Gesù di essere salvati, né tantomeno lo conoscono. Eppure Gesù sceglie proprio loro «perché siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9,3). È un grande Gesù! Si fa vedere da chi non è visto, si fa conoscere da chi non lo conosce per niente. La prima riflessione, allora, che mi viene da fare oggi è questa: attenzione quando abbiamo la presunzione di sapere tutto, di avere una fede superiore a quella degli altri; quando non abbiamo dubbi né domande che ci interrogano perché crediamo di aver capito già tutto. A chi pensa di conoscere la verità tutta intera, Gesù non si presenta, non può. «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 9,39).
Quindi la prima cosa che impariamo oggi dal cieco è l’umiltà. C’è differenza fra il cieco del Vangelo di oggi e un altro cieco evangelico, quello di Gerico. A differenza di quest’ultimo, il cieco del Vangelo di Giovanni non grida, non chiede nulla per sé. Forse non vuole essere guarito? Il problema è che si vergogna perché gli hanno sempre detto che la cecità è la giusta punizione per i suoi peccati – ma visto che è nato cieco, quando li avrebbe commessi? Nel grembo della madre? – o per i peccati della sua famiglia. Quest’uomo soffre e Gesù lo vede. Lo sguardo di Gesù non si posa mai sugli errori che tutti noi possiamo commettere, ma sulla sofferenza che da questi scaturisce. Dal modo in cui permettiamo a Gesù di guardarci dentro, dipende tutta la nostra salvezza. Attraverso l’esperienza del cieco nato sappiamo che Gesù non ci ignora né fa finta di non vederci, ma si ferma e ci incrocia così come siamo, senza aspettare che ognuno di noi diventi perfetto e degno di incontrarlo.
Ma è straordinario anche il modo con cui Gesù decide di guarire questo cieco. A differenza del suo “collega” di Gerico che ritroviamo nel Vangelo di Marco, qui Gesù compie dei gesti specifici che accompagnano la guarigione: «sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco» (Gv 9,6). Sono azioni che richiamano la creazione dell’uomo (cfr Gn 2,5-7) e che ci dicono che Gesù non si limita soltanto a guarire ma va oltre, addirittura ricrea una nuova vita! Che meraviglia. Il cieco non solo riacquisterà la vista, ma anche il coraggio e la dignità di vedere gli altri in faccia, occhi negli occhi. Non deve più vergognarsi e non ha paura di affrontare quei farisei che, invece di rallegrarsi per la sua guarigione, imbastiscono un processo contro di lui. Ora sono gli altri ad avere paura di lui, compresi i suoi genitori, bloccati dal giudizio della gente. Purtroppo quando ci si abitua al male, il bene fa paura. Compito ora del cieco è quello di testimoniare la gioia di una vita nuova illuminata da Cristo. Non so se sia un caso che Giovanni riporti il fatto che “Siloe”, la piscina dove il cieco va lavarsi dal fango, significhi “Inviato”. Bisogna mantenere la luce accesa, difenderla dalle tenebre e proteggerla dal vento impetuoso della mondanità, perchè «finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo» (Gv 9,5).
Tutti noi, allora, possiamo sperimentare questa possibilità di vita nuova che Gesù ci offre e certamente la Quaresima è un tempo propizio per approfittare della misericordia di Dio. Una vita nuova che è iniziata in noi attraverso il battesimo e che continuamente ci viene riproposta dall’immenso amore di Cristo per noi.
Facciamo nostra la domanda dei farisei a Gesù: «Siamo ciechi anche noi?» (Gv 9,40) Perché potremmo essere un tipo di ciechi particolari: ciechi che «hanno occhi e non vedono» (Sal 115) perché «se foste solo ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 9,41).
Auguro, perciò, a me e a voi, di maturare la consapevolezza della nostra cecità interiore e di incontrare Gesù lungo la strada della vita, affinché ognuno sia toccato dal suo amore e alla fine di questo cammino di fede, fatto di terra e di cielo, di acqua e di luce – simboli pasquali – ognuno possa riaprire gli occhi del cuore e dire al mondo: «Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo» (Gv 9,25).
Buon cammino, insieme.