Voi lo accompagnereste vostro figlio in un posto pericoloso? O meglio. Vi verrebbe mai l’idea di fargli incontrare il diavolo? Conosco già la vostra risposta. Ma allora che combina lo Spirito con Gesù?
In realtà oggi ci viene insegnato un principio pedagogico fondamentale: si impara a camminare bene solo quando si cade. È la fragilità la nostra forza più grande. Nei confronti di Gesù, il Padre non agisce come quei genitori spazzaneve di oggi che evitano ai figli ogni problema lasciandoli orfani della capacità di scegliere e di prendersi una responsabilità.
Attraverso l’esperienza del deserto, Gesù viene preparato alla missione per cui è stato mandato dal Padre in mezzo agli uomini. Vengono messi alla prova i limiti e la fragilità del suo essere vero uomo oltre che vero Dio. Il deserto, perciò, diventa una palestra dove Gesù impara a confrontarsi con i limiti di quell’umanità che, durante il suo ministero terreno, incontrerà tantissime volte nella sua più profonda fragilità così come nella sua ipocrisia. Quella stessa umanità per la quale, alla fine, morirà.
Anche per noi, dunque, il deserto quaresimale diventa un’occasione di confronto. Entrare nel deserto significa abitare luoghi del nostro cuore che avevamo volutamente abbandonato o di cui avevamo dimenticato l’esistenza, rendendoli appunto dei deserti. Luoghi resi aridi dalle nostre fragilità, dalle delusioni, dagli errori commessi, dai nostri deliri di onnipotenza. È in questi luoghi del cuore che abbiamo ceduto alle tentazioni, distruggendo la bellezza che era in noi. Ritornarci significa lottare, toccare ferite mai del tutto rimarginate, rivivere esperienze con le quali non ci siamo ancora riconciliati. È chiaro che in questi luoghi non vogliamo entrarci! Ma lo Spirito sospinge e accompagna anche noi in un cammino necessario, perché sappiamo che qualcosa della nostra vita deve necessariamente cambiare.
Se da un lato il deserto è da sempre il luogo per antonomasia delle tentazioni e della lotta, dall’altro è il luogo dove riscopriamo l’amore di Dio, che è misericordia, che è perdono autentico. Viviamo, perciò, il deserto come occasione per innamorarci di nuovo di Gesù, della sua sua compagnia ma anche per innamorarci nuovamente della bellezza della vita.
Il fatto che il diavolo si presenti proprio quando Gesù ha fame, richiama l’antica tentazione di Adamo. È sempre quando ci manca qualcosa che il diavolo si presenta. Ma non un diavolo da film horror, quello che invasa corpi, fa girare la testa a 360 gradi o si esprime in lingue antiche. Quel diavolo lì lasciamolo ai registi o agli scrittori di fantascienza. Il diavolo è molto più scaltro e subdolo. Non sta mai nel bianco o nel nero, ma nel grigio. In quello spazio confuso tra il bene e il male assoluti dove regna il compromesso, il fine che giustifica i mezzi e dove, molto spesso, si maschera il male per bene. Ma a differenza dell’Eden, qui nel deserto il diavolo, senza saperlo, fa il gioco di Dio. La sua sconfitta a opera di Gesù, nuovo Adamo, ristabilisce quell’ordine compromesso dalla disobbedienza del vecchio Adamo.
Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. (Rm 5,19)
Quello che era stato distrutto nel giardino, rifiorisce nel deserto. La creazione riacquista di nuovo il suo equilibrio. Il deserto quaresimale è per noi, allora, l’occasione per ricreare la nostra vita, per ridare ordine al cuore e senso alla vita. Un’occasione di libertà. D’altronde cos’è la tentazione se non un attacco alla nostra libertà?
La tentazione è una provocazione della libertà fatta con tutti i mezzi a disposizione. A volte tramite ragionamento. A volte tramite i sensi. A volte attraverso le emozioni. È una sorta di commercio in cui mercanteggiamo le nostre scelte. Io ti do il potere e tu ti prostri a me. Io ti do il piacere e tu smetti di amare veramente. Io ti do la soddisfazione e tu in cambio rinnega ciò in cui credi veramente. (don Luigi Maria Epicoco)
Approfittiamo del deserto per guardarci dentro e fuori. Per guardare il nostro vuoto e saziarci della Parola di Dio, ma anche per imparare a guardare il vuoto dentro il cuore degli altri e saziarlo con il nostro amore. Non si tratta semplicemente di staccare la spina ogni tanto, ma di ritrovare se stessi, di riprendere possesso di ciò che realmente siamo, di ciò che è più intimo a noi stessi e che spesso dimentichiamo, presi dalla continua corsa della vita. Si tratta di fare una visita all’anima.
Gesù, spinto dallo Spirito, ha usato quel tempo per decidere che tipo di Messia diventare.
Noi, adesso, ora, qui, per guardare a che uomini e a che donne siamo diventati o vogliamo diventare.