VII Domenica del Tempo ordinario/A

«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra».

Sarei curioso di leggere, quasi a mo’ di fumetto, cosa vi è passato per la testa mentre ascoltavate il Vangelo di oggi. Forse la prima domanda che vi siete fatti è stata: «E come si fa?».

Come si fa a non reagire quando si subisce uno schiaffo, non solo fisico ma anche morale? Come si fa a non opporsi ai tanti schiaffi che la vita ci dà e che ci fanno davvero male? Addirittura porgere l’altra guancia? Roba da santi non da uomini come noi…

Si tratta di un pensiero legittimo ma credo che per meglio comprendere il Vangelo di oggi e sgombrare il campo da una serie di luoghi comuni errati, sia necessario fare una precisazione sul reale significato del «porgere l’altra guancia».

Ai tempi di Gesù, uno schiavo veniva colpito in volto dal suo padrone con il dorso della mano, perché quest’ultimo non avesse a sporcarsi le mani. La guancia colpita era dunque la guancia destra, tranne nel caso in cui il padrone non fosse stato mancino. «Porgere l’altra guancia», cioè la sinistra, a quel tempo significava costringere il padrone a colpire con il palmo della mano e, quindi, a «sporcarsi» le mani, cosa che un pio israelita benestante non avrebbe mai fatto. Il voltare il viso dall’altra parte per porgere la guancia opposta era un modo per impedire all’aggressore di colpire ancora, per interrompere il sistema, per costringere il potente a fermarsi.

Allora porgere l’altra guancia non significa affatto assumere un atteggiamento arrendevole e di sottomissione, non significa passività di fronte all’offesa, piuttosto è l’impegno di interrompere il circolo vizioso della violenza. “Occhio per occhio” vuol dire rispondere alla violenza con la violenza, cosa che tante volte risulta più semplice e soddisfacente. “Porgere l’altra guancia”, invece, è un invito a metterci la faccia, a sporcarsi le mani non come il padrone dello schiavo, ma con gesti inaspettati di amore in risposta alla violenza. «A che serve avere le mani pulite se poi ce le teniamo in tasca?» (don Milani). Troppe volte, più che porgere l’altra guancia, voltiamo la faccia dall’altra parte di fronte alle ingiustizie, ai poveri, a coloro che chiedono il nostro aiuto. Il cristiano dell’altra guancia non è quello che subisce, ma quello che interviene. Ripagare un torto con la stessa moneta non è mai giustizia perché la vera giustizia educa all’amore non alla violenza.

Oggi siamo chiamati, come cristiani, a fare questo: impedire al male di prendere il sopravvento attraverso quei tanti piccoli accorgimenti che possiamo adottare nella nostra vita quotidiana. Essi hanno in sé la forza di sabotare le azioni perverse dei violenti. Gesù non ci vuole con una faccia di schiaffi ma con una faccia tosta, «candidi come colombe ma furbi come serpenti» (cf. Mt 10,16-18)

Amare il proprio nemico e pregare per quelli che ci perseguitano non è roba dell’altro mondo ma roba per un altro mondo. Se davvero vogliamo che le cose cambino dobbiamo cominciare ad assumerci le nostre responsabilità di cristiani, denunciando le ingiustizie, l’ipocrisia e lo sfruttamento dei deboli ai quali, molte volte, vengono negati i diritti fondamentali. Siamo chiamati ad avere lo stesso coraggio di quello schiavo che, offrendo l’altra guancia al padrone, non solo ferma la violenza ma diventa un uomo libero.

Mettere più amore nella vita e meno soldi sul conto in banca è l’unica strada verso il Regno di Dio. Mettere amore nelle cose che facciamo, nelle persone che incontriamo, in tutte le persone che incontriamo e non solo in quelle dalle quale possiamo trarre qualche profitto. «Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? […] E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?». Ecco, proprio prendendo spunto dal modo di salutare, mi piace leggere, oggi, quel porgere l’altra guancia come l’invito ad un bacio in più, ad un pizzicotto affettuoso, ad una carezza inaspettata.

Posted by:don Ivan Licinio

Classe 1983, sacerdote della Prelatura territoriale di Pompei dal 2011. Attualmente Vice Rettore del Pontificio Santuario della Beata Maria Vergine del Santo Rosario e Incaricato del Servizio per la Pastorale Giovanile. Autore di diverse pubblicazioni, il mio ultimo libro è "Se anche la fede è tra le Stranger Things" - Una serie TV per ogni stagione della gioventù, edito da Effatà editrice.

Una risposta a "La faccia da schiaffi e la faccia tosta"

  1. CORTESIA METROPOLITANA

    di Fausto Corsetti

    Luogo: Stazione Termini di Roma; il tempo: mattina ore 7:45, orario di arrivi frenetici. Un flusso continuo di persone si avvia verso i luoghi di lavoro o di studio.
    Vedo un uomo fermarsi, tirare su da terra una bicicletta incatenata a un pilone e caduta probabilmente per una spinta. Riaccostatala con attenzione al palo, quel signore riprende la sua strada. Tutto qua. Nessun gesto eroico, nessuna frase altisonante, il destino del mondo non ha subito interferenze. Eppure…eppure, quando ci ho ripensato, un sorriso mi è affiorato spontaneamente, gli spigoli della mia giornata per un momento mi sono sembrati meno acuminati.
    Non mi faccio illusioni che il vivere urbano possa riconquistare, come per un colpo di bacchetta magica, calore e disponibilità spontanea all’aiuto reciproco. Mi pare però che, nel suo peso infinitesimale, l’episodio cui ho assistito, ribadisca che la qualità del nostro vivere assieme è frutto certamente delle grandi scelte politiche e amministrative, dell’urbanistica e della sicurezza garantita dalle forze dell’ordine, ma questi ingredienti possono guadagnare piena efficacia solo se confortati dalla disponibilità interiore di ciascuno di noi.
    Non può esistere una città a misura d’uomo se quell’uomo non si sente a sua volta coinvolto, parte solidale e amichevole nei confronti di quanti altri con lui condividono lo spazio urbano.
    Spesso ci rimproverano di curare fin quasi all’ossessione gli spazi privati, la casa soprattutto, disprezzando viceversa tutto ciò che è pubblico, nella gradazione che va dal gettare a terra cicche, cartacce, gomme americane, pacchetti di sigarette, bottiglie o lattine, per arrivare agli “insidiosi” escrementi di cane non raccolti, fino agli atti vandalici che danneggiano spazi e strutture di uso comune.
    Se cresce il numero di quanti non si limitano a non commettere azioni sgradevoli, ma agiscono con gesti di rispetto civico, proprio come “quel signore”, o anche soltanto fanno percepire la loro riprovazione nei confronti degli atti negativi a cui prima facevo cenno, qualcosa può iniziare a cambiare.
    Piccoli gesti di convivenza, piccoli gesti di cortesia.
    Essere cortesi è un’arte che deriva da un forte impegno a usare l’intelligenza per capire le circostanze sociali e, in particolare, gli stati d’animo degli altri. Questo impegno, a volte faticoso e dall’esito incerto, può realizzarsi solo quando è sostenuto dalla motivazione di prendersi cura dei sentimenti altrui.
    La persona cortese ha un’anima gentile, sensibile alla sofferenza umana e con un senso di obbligo a fare del suo meglio per alleggerire la fatica del vivere. Questo senso di obbligo, tuttavia, non è pesante, noioso o pericoloso, non sceglie i grandi gesti, i violenti sacrifici o le prediche sublimi.
    La persona cortese e gentile usa con leggerezza, ma con costanza, i mezzi naturali in possesso di tutti gli esseri umani : un po’ di attenzione, un minimo di riflessione, una scelta di parole.
    Per gli esseri umani, la cortesia e la gentilezza sono facili, facili come sorridere.
    E a proposito di sorriso, accoglienza gentile e frequentazione di locali, non citerò contesti urbani noti per la ruvidezza delle relazioni umane… Dirò solo che odio quei negozi nei quali il gestore, o un commesso male addestrato, mi accoglie con un ringhio: “Dica!…”. Invece di dire alcunché, ho subito voglia di uscire.

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