Preti e curie, da nord a sud del Paese, in prima pagina lo scandalo corre veloce, una Chiesa che sembra non aver imparato nulla dal “Caso Spotlight”, crimini contro l’umanità che si perpetrano ogni volta che viene abusato un innocente e non solo. Fa rabbia pensare che chi deve raccontare la fede, chi la deve annunciare innanzitutto con la propria vita sia pronto a svenderla sull’altare del proprio vile interesse.

È un grande dolore per chi la Chiesa al contrario la vive ogni giorno come esaltante avventura. Mi ritornano in mente le parole del vescovo di Padova, dopo l’assurdo dei festini hard nella canonica della parrocchia di san Lazzaro: “Questi fatti gettano un’ombra tenebrosa soprattutto sulla nostra Chiesa: mi vergogno e vorrei chiedere io stesso perdono per quelli che, nostri amici, hanno attentato alla credibilità del nostro predicare”. Tuttavia ogni volta che si apre la piaga di un nuovo scandalo, condivido il dolore delle vittime, ne sento tutto il peso, e non potrebbe essere diversamente, ma non posso che pensare anche a quanti con entusiasmo e fatica, la maggioranza dei preti, viva il suo quotidiano impegno, lavoro di Parola e di carità, non posso che avvertire sulla pelle il loro stesso disagio, di chi, in una società pronta a sacrificare il vero in forza del rumore assordante della strategia distruttiva “del così fan tutti”, dimentica che il male lo si racconta volentieri mentre il bene non fa rumore.

Se a Napoli o altrove in giro per il Paese chiudessero le parrocchie, gli oratori, il servizio di supporto agli ultimi, le mense per i poveri, che restano l’ultimo appello di umanità per chi è privo di tutto, saremmo al collasso sociale. Chi dimentica quanto grande sia il sacrificio e la generosità di tanti preti, che vivono la Chiesa con straordinario entusiasmo, è contro la verità. Essere prete, essere uomo, è sempre stato difficile, ancora di più in un tempo in cui gli scandali causati da pochi mettono in crisi l’intero sistema ecclesiale. Essere preti oggi è impresa non facile e chi con leggerezza pensasse di volerlo essere dovrebbe essere sconsigliato. Non bastano i percorsi tradizionali di formazione al presbiterato, sono obsoleti i contesti culturali e sociali che vengono proposti come base culturale per i futuri preti, ancor di più è incapace il governo della Chiesa di garantire un accompagnamento affettivo ai suoi ministri che, benché scelgano il celibato, restano uomini bisognosi di cura, di relazioni che se mancano possono provocare cedimenti o peggio solitudini affettive pronte a svendere i valori in cambio di relazioni drogate o malate. Eppure non c’è niente di più esaltante che scoprire il mistero intenso e profondissimo della vita di chi ha scelto di diventare prete. La vocazione di ogni presbitero è un mistero: Dio chiama, per chi crede è così.

Una convocazione a fare quattro passi con il Padreterno, impossibile da resistergli. Dio ti chiama, una grande scommessa sulla tua vita, una grande gioia di sicuro e nello stesso tempo una grande sfida. Un richiamo irresistibile il Suo al quale tu, irresistibilmente vorresti resistere ma alla fine, vince Lui. Non è un’adunanza allegra e felice, ma è una lotta; perché la chiamata a essere prete è anche una reale, convinta scelta che cambia definitivamente la tua stessa natura; non è una semplice, allegra adesione, è invece una continua richiesta, fatta a te stesso, di adeguamento a quella proposta.

La vocazione non è un angelo che ti bussa alla porta e ti dice: “Tu ti devi fare prete”, non avviene così. Non fai un sogno, non hai visioni, non è che un giorno cadi da cavallo così da cambiare direzione: senti che è la tua vita, lo senti e non puoi fare diversamente. Lo senti quel grido che dentro ti convoca, ti invita a seguirlo, a inseguirlo e non puoi resistergli, malgrado tutto, malgrado te stesso. Lo so, mi rendo conto che è difficile parlare di preti, è difficile voler provocare una riflessione diversa da quella “scandalistica” su questo intenso e straordinario mondo di uomini che benché le loro miserie scelgono una vita diversa, forse eroica, è difficile soprattutto perché come Chiesa non sappiamo parlare al mondo di chi siamo veramente, di che facciamo in realtà, a cosa e a chi serviamo, aspettando il prossimo scandalo per subirne il dolore e l’affronto e soprattutto dimenticando che forse se dentro le nostre mura fossimo più trasparenti prima del giudizio di condanna del mondo ci attrezzeremmo a dare miglior corso al nostro giudizio per correggere i deboli, incoraggiare i tenaci, sanzionare i corrotti ma soprattutto impedire ai malati di perpetrare impunemente il loro delitto abusando di vittime innocenti e infettare l’intero corpo della Chiesa.

Autore: don Gennaro Matino

Posted by:don Ivan Licinio

Classe 1983, sacerdote della Prelatura territoriale di Pompei dal 2011. Attualmente Vice Rettore del Pontificio Santuario della Beata Maria Vergine del Santo Rosario e Incaricato del Servizio per la Pastorale Giovanile. Autore di diverse pubblicazioni, il mio ultimo libro è "Se anche la fede è tra le Stranger Things" - Una serie TV per ogni stagione della gioventù, edito da Effatà editrice.

Una risposta a "Chi infetta il corpo della nostra Chiesa"

  1. C’è scritto nel Vangelo cosa dice Gesù a tal proposito, legga lo scandalo. Se i bubboni infettano il corpo, si recide, si amputa. Siamo in piena apostasia, oramai le chiacchiere non servono a nulla, servono i fatti e gli esempi. Buona serata, Giusy

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