Credo che la povertà più grande di uomo sia non poter esprimere l’enorme ricchezza che si porta nel cuore.
È frustrante non trovare le parole giuste per dire alla persona che ami quanto è insignificante la tua vita senza di lei.
Allo stesso modo non saper consolare un amico con le parole di cui ha bisogno in quel preciso momento, ti fa sentire inutile.
Le parole sono importanti. Ci identificano, ci rappresentano. Usare un linguaggio piuttosto che un altro dice al mondo chi siamo, che storia abbiamo. La parola ci mette in relazione con gli altri perché per metà è di colui che parla, per metà di colui che l’ascolta.
Le parole sono come i colori per un pittore o lo scalpello per uno scultore. Per quanto tu sia un’artista, senza le parole, la tua vita resta una tela vuota o un pezzo di marmo informe.
Ecco perché io cerco le parole, perché le parole danno vita.
Ma è anche vera un’altra cosa. A volte sono le parole che cercano te. Ti rincorrono, quasi ti assediano, supplicando di essere scritte o pronunciate. Hanno paura di restare per sempre inespresse, di non vedere la luce, di restare imprigionate. Sono parole nobili, antiche, potenti che sempre più si vedono superare da abbreviazioni e neologismi.
Oggi dare peso alle parole, dare la propria parola, avere una sola parola o spendere una parola non va più di moda. Preferiamo le chiacchiere alle parole.
Ecco perché le parole ti cercano, per non essere dimenticate.
E così capita che non sei tu ad aprire un libro ma un libro ad aprire te. E quelle parole a prendere vita e dare un senso alla tua. C’è una cosa magnifica nel leggere il Braille che i vedenti non proveranno mai: toccare le parole e sentire che ti toccano a loro volta.
Se poi penso alla Parola per eccellenza, allora mi commuovo nel pensare che una parola ci ha creato: “E Dio disse facciamo l’uomo…”. Perciò bisogna anche saper usare le parole: le parole feriscono, le parole convincono, le parole placano, le parole incitano, le parole trasformano, le parole accarezzano, le parole uccidono.
Ci sono quelle che mancano, quelle che vorremmo sentire più spesso e poi ci sono le parole che liberano.
E se mi chiedete alla fine perché ho scritto tutto questo, è proprio perché avevo bisogno di un po’ di libertà.
E anche perché qualche parola mi aveva chiesto di essere liberata.
Posted by:don Ivan Licinio

Classe 1983, sacerdote della Prelatura territoriale di Pompei dal 2011. Attualmente Vice Rettore del Pontificio Santuario della Beata Maria Vergine del Santo Rosario e Incaricato del Servizio per la Pastorale Giovanile. Autore di diverse pubblicazioni, il mio ultimo libro è "Se anche la fede è tra le Stranger Things" - Una serie TV per ogni stagione della gioventù, edito da Effatà editrice.

Una risposta a "C’è chi cerca i pokemon, io cerco le parole."

  1. COSI’ VICINI COSI’ LONTANI .

    Il tempo dell’ascolto.

    di Fausto Corsetti

    Quante sono le persone che incontriamo lungo la nostra giornata. Sono volti che guardiamo, storie che sfioriamo, mondi che non conosciamo. Ci si passa accanto, per tutta la vita: e ciascuno può restare se stesso, estraneo all’altro, sconosciuto all’altro.
    Ci si può incontrare anche per una sola volta nella vita. Ma quale sarà il senso, il messaggio che ci viene, che può venire da quella persona che, molto probabilmente, non incontreremo mai più. Cosa resta? Cosa lasciamo? Quel passo frettoloso, quel sorriso distratto, quello sguardo interrogante, quella cortesia formale, quella estraneità che incuriosisce, quel mistero che attrae, quell’indifferenza che allontana, quella paura che mantiene le distanze, quella fatica che disarma… e quanto altro ancora è possibile leggere sul volto della gente che, da mattino a sera, affolla il nostro andare e venire, i nostri passi.
    Ma non si può incontrare “la gente”. Si incontra solo una “persona”, una persona alla volta. Imparare a sentire l’altro, imparare a sentire i pensieri dell’altro: questa è l’arte e il segno di una vita presente, capace di leggere, di custodire… di ascoltare. Spesso, invece, siamo già oltre a tutto ciò che riempie i nostri passi e la nostra mente, e poi, arrivati al punto, siamo nuovamente oltre, occupati e preoccupati da ciò che viene dopo. Si ascolta, si incontra, ma il più delle volte si corre a ciò che si deve fare dopo.
    Ascoltare sembra un’operazione abituale, quasi banale, eppure l’ascolto autentico è raro e difficile. Costantemente immersi come siamo in rumori di vario tipo, sollecitati da messaggi multiformi, non conosciamo più il silenzio come ambiente e condizione indispensabile all’ascolto dell’altro.
    Silenzio e ascolto, infatti, pur non identificandosi, si nutrono reciprocamente: è solo nel silenzio che la parola può risuonare nitidamente, ed è lasciando che il nostro silenzio sia abitato da quanto abbiamo ascoltato in profondità che evitiamo di cadere nel mutismo o nel terrore del vuoto e del non senso.
    Così, sempre più incapaci di silenzio fecondo, finiamo per smarrire anche l’arte dell’ascolto: lungi dal considerarlo un’opportunità preziosa, subiamo come pratica fastidiosa il dover “stare a sentire” qualcuno mentre, dal canto nostro, siamo sempre pronti a parlare, riversando i nostri confusi bisogni su chiunque si trovi a portata di voce.
    Ma cosa significa ascoltare? Innanzitutto accettare in profondità di sacrificare ciò che ci sembra sempre più prezioso: il tempo. Occorre tempo per ascoltare, un tempo vissuto senza fretta, senza angoscia; occorre la consapevolezza che si deve decidere di ascoltare.
    D’altronde, l’ascolto è la prima forma di rispetto e di attenzione verso l’altro, la prima manifestazione di accoglienza della sua presenza. Sappiamo per esperienza che l’altro non sempre pronuncia parole di reale interesse, che l’altro spesso chiacchiera o parla a se stesso.
    Ma se è vero che l’ascolto esige impegno e pazienza, è altrettanto vero che solo un ascolto autentico sa discernere e trarre lezioni anche da dialoghi apparentemente insulsi…
    Ascoltare significa essere attenti, accogliere le parole di chi ci sta di fronte ma anche, più in profondità, tentare di capire ciò che egli vuole comunicare al di là di quanto riesce a esprimere: per questo è necessario impegnarsi a cogliere anche il suo “non detto”, ciò che egli sottende o addirittura nasconde.
    Ci vuole sensibilità per riuscire a percepire, per imparare ad ascoltare, per saper sentire l’anima delle persone. Se si continua ad andare avanti guidati solo dai propri pensieri, non solo sarà difficile, ma perfino impossibile ascoltare gli altri, incontrare l’altro.
    L’altro resterà per noi solo uno tra i tanti, ma non sarà davvero l’unica persona che chiede la nostra presenza, la nostra attenzione, il nostro incontro.
    Colori, profumi, pensieri: li vede, li sente, li insegue soltanto chi sa uscire da sé e accettare la sfida di lasciarsi fermare. Oggi le nostre esistenze scivolano una accanto all’altra, come pensieri anonimi che s’intrecciano e si sfuggono, senza mai diventare pietra che costruisce, fiore che profuma, acqua che disseta.

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