Lui le aveva sempre portate in tasca e ora me le ritrovavo in mano.
Facevo in modo che tintinnassero quasi fossero un richiamo, così che, sentendolo, sarebbe arrivato per dirmi: ecco dove stavano!
Mi avrebbe spiegato, per l’ennesima volta, per quale assurdo motivo portava sempre con sé una moneta da mezzo dollaro, uno złoty polacco e una vecchia 10 lire.
«Ma che te fai?» avrei chiesto io.
«Mi porto sempre dietro due ricordi ed una possibilità» – avrebbe detto lui – «vedi questo mezzo dollaro? È del 1983, l’anno in cui sono nato. L’aquila da un lato e la scritta liberty dall’altro, mi ricordano che sono stato creato libero e con tutte le capacità per volare alto. E poi c’è lo złoty. Ti ricordi la Polonia, la visita ad Auschwitz?».
Annuivo.
«Ecco, lo złoty, invece, mi ricorda quanto in basso posso cadere quando nego la libertà, quando tratto l’altro come un mezzo e non come un fine».
A questo punto, lui si fermava.
Ora toccava a me fare la domanda che gli avrebbe dato modo di chiudere in bellezza la sua personalissima parabola. «E la 10 lire?».
«È la possibilità. Sai, le 10 lire, una volta, si portavano in tasca perché servivano per l’ascensore a pagamento. Io ne porto ancora una con me perché così quando me ne sono andato troppo in alto con la testa posso scendere, e quando, invece, sono caduto troppo in basso posso risalire».
La prima volta che la raccontò ammetto che restai colpita. Poi mi ci abituai, infine mi irritavo quando qualcuno gli dava l’occasione di raccontarla ancora e ancora.
Ora avrei voluto sentirla per l’ultima volta. Ma questa volta gli avrei chiesto: «Perché ho io la tua maledetta 10 lire e non tu? Usala adesso e rialzati!».
Non si mosse. Dopo l’incidente non poteva più farlo. Ma sono sicura che mi abbia sentito, così come sono altrettanto sicura che la sua risposta sia stata: «Ora hai tu la mia stessa possibilità».