IV Domenica del Tempo ordinario
Come affetto da una speciale sindrome di Stoccolma, oggi vorrei mettermi nei panni dell’indemoniato.
Sempre temuti, messi da parte, allontanati dalla gente per bene, gli indemoniati appartengono al girone dei “cattivi” del Vangelo in cui nessuno si immedesima mai.
Allora, nel mezzo del cammin di questo Tempo ordinario, accompagnato da Erode, decido di intraprendere questo viaggio fra i “cattivi” alla scoperta degli indemoniati. E mi accorgo che sono molto più numerosi di quello che mi aspettavo. Stupito, scopro che uno mi assomiglia tantissimo! Aspetta… sono proprio io!
Quando Gesù si impiccia dei miei progetti di gloria, quando vorrebbe distogliermi da desideri sterili, quando mi indica strade diverse da quelle del successo, non sono forse io il primo indemoniato a dire: «Che vuoi da me, Gesù Nazareno?».
E quando, invece, Gesù lega la mia salvezza alla rinuncia dell’io, alla vendita dei miei beni, al servizio verso gli ultimi, al sacrificio della mia stessa vita, non sono forse io il primo indemoniato a dire: «Sei venuto a rovinarmi?».
Ma come è possibile? Io non posso essere indemoniato! Io frequento la chiesa, sono catechista, sono educatore, sono prete, sono un cattolico praticante. Io non posso appartenere a questo girone.
Eppure, amico mio, anche l’indemoniato frequentava tutti i sabato la sua sinagoga (la nostra Parrocchia di oggi). Si sedeva accanto agli altri e gli altri lo conoscevano come persona per bene. Pregavano con lui e si scambiavano gesti di pace e confidenze. Nessuno è immune al male e ognuno di noi nasconde un potenziale indemoniato.
Ma quando è uscita fuori la vera natura dell’indemoniato del Vangelo di oggi? Quando ha incontrato Gesù e si è lasciato interrogare il cuore dal suo insegnamento autorevole.
Solo chi ha bisogno di Dio e non del suo Io, si lascia interpellare e sanare dalla sua Parola di vita. Solo chi è consapevole di aver bisogno di aiuto si lascia salvare. Solo chi riconosce i suoi limiti sa riconoscere Gesù.
«Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Ebbene sì. Non gli scribi, né i sacerdoti o i professionisti del sacro, ma un indemoniato, proprio quello scarto d’uomo, professa, prima degli stessi discepoli, la sua fede in Gesù. Si tratta di una dichiarazione di resa alla potenza di Dio manifestata attraverso Gesù. Una volta fatta entrare la divina misericordia nel nostro cuore, non può più esserci spazio per quel demone antico quanto l’uomo: la superbia.
«Taci! Esci da lui!». Gesù mette a tacere questo demone che si era impadronito abusivamente di un’immagine di Dio, quale siamo tutti noi. Mettere a tacere il nostro Io: ecco la cura contro ogni forma di possessione. E anche se questo ci strazierà, resta l’unica via per la libertà, la libertà dei figli di Dio.
Sto per terminare il mio viaggio nel girone dei cattivi evangelici, quando Erode, contrito fino alle lacrime, mi fa notare che la parola cattivo vuole dire catturato. In fondo lui, gli indemoniati, il giovane ricco, Caifa, Pilato, non sono altro che prigionieri di loro stessi, delle loro bramosie, delle loro paure, delle loro insoddisfazioni. Non si sono lasciati incontrare da Gesù e dalla sua Parola di Vita eterna e sono stati catturati dalla spietata vita terrena.
Mentre comincio ad impietosirmi per quelli che fino a ieri mi facevano solo rabbia, mi accorgo di essere arrivato a Cafarnao, lì dove tutto è iniziato nel Vangelo di oggi. Mi volto e di Erode nessuna traccia, mentre di fronte ho un uomo, uguale a tanti altri ma con qualcosa di diverso negli occhi: è davvero vivo! Si vede che è un uomo che ha sofferto, eppure trasmette un forte senso di libertà.
Ho capito di chi si trattasse solo quando mi ha detto che Cafarnao, nella sua lingua, significa villaggio della consolazione. E lì lui l’ha trovata.
E spero anche io.