SANTA FAMIGLIA DI NAZARETH
Mentre noi stiamo ancora aprendo panettoni e bevendo spumante, a Betlemme sono passati già 40 giorni da Natale! Il tempo liturgico scorre più velocemente del tempo libero.
Come è prescritto nella legge di Mosè, Maria e Giuseppe portano il bambino Gesù al Tempio di Gerusalemme per la purificazione rituale e la presentazione del loro figlio primogenito al Signore.
Quanto è esageratamente ordinaria la famiglia di Gesù!
Maria e Giuseppe non sono speciali, né diversi dalle migliaia di altre giovani coppie che sono in fila per entrare nel Tempio.
Che lo presentate a fare Gesù al Signore? Ci verrebbe da domandargli. E invece la Santa Famiglia è una famiglia del tutto normale, sottomessa alla legge degli uomini e fedele a Dio.
Questa loro naturale tendenza all’ordinarietà della vita, ci da l’occasione per riflettere su alcuni spunti davvero interessanti.
Che cosa vuol dire che Maria deve purificarsi?
Si tratta di un rituale che si basa su due concetti culturali e di fede profondissimi, bellissimi e dalla straordinaria attualità. Nella cultura ebraica la donna acquista al momento del parto una sacralità che normalmente non gli viene riconosciuta nella vita ordinaria. Per aver donato la vita al figlio, ella è diventata come Dio, autore della vita. E su questo gli ebrei avrebbero molto da insegnare alla nostra società maschilista ed “abortiva”. Ma nessuno può essere come Dio (accusa per la quale Gesù sarà condannato a morte), e quindi le neo mamme si recano al Tempio per desacralizzarsi e riconoscere il primato di Dio nella nascita del loro figlioletto. La mamma ringrazia Dio per averla resa sua partner nel continuare la creazione. Successivamente, poi, le donne vengono purificate dal sangue perso durante il parto e che, secondo gli ebrei, conserva anch’esso un’aspetto sacro perché sede dello spirito. Ecco perché non troverete mai un ebreo in un ristorante a Firenze mentre mangia una bella bistecca!
La seconda parte del rito è ancora più interessante e coinvolge anche lo sposo. Vengono offerte a Dio una coppia di tortore o due giovani colombi in nome del bambino perché «ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore». È vero che spetta solo al papà dare il nome al figlio (e nel caso di Giuseppe neanche questo ha potuto fare il povero falegname!), tuttavia il figlio non appartiene a lui ma a Dio. E su questo dobbiamo fare una riflessione seria. Credere che i figli siano dono di Dio e non esclusiva proprietà dei genitori significa avere una chance in più nel rapporto educativo e nel dialogo generazionale. La famiglia ha il compito di educare, sostenere e fornire tutti gli strumenti utili alla crescita umana, culturale e spirituale dei figli ma poi li deve lasciare liberi.
Non appartengono in eterno a mamma e papà, ma a Dio che ci ha creati liberi e ha un progetto su ciascuno di noi. Lasciare liberi i figli di seguire le proprie aspirazioni, di costruire i loro sogni e non ingabbiarli nelle paure e nelle ansie dei genitori. Perpiacere, basta con i genitori spazzaneve che tolgono ai figli ogni ostacolo dalla strada! Bisogna lasciare liberi i figli anche di sbagliare e, allo stesso tempo, essere sempre pronti a tendere una mano per rialzarli dalle loro cadute. Non gli abbiamo insegnato così a camminare quando erano piccoli? E Dio, allo stesso modo, non fa così con noi?
Proiettare i nostri progetti, le nostre aspirazioni sui figli significa soffocare il disegno di Dio. «Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?», questo sarà il “rimprovero” di Gesù a Maria e Giuseppe tra dodici anni e questo potrebbe essere quello dei figli verso i genitori di oggi: “non sapevate che ho il diritto a costruirmi una mia vita secondo le mie aspirazioni, i miei sogni, i miei progetti?”. Pensare che il primo figlio debba diventare ovviamente avvocato perché da generazioni la sua è una famiglia di avvocati significa essere genitori egoisti, che pensano al loro bene e non a quello dei figli. Se Maria si fosse comportata così non avremmo la croce e, quindi, non avremmo mai conosciuto l’Amore di Dio per ogni uomo.
Un ultimo accenno va fatto, infine, a due santi personaggi che si affacciano nel Vangelo di oggi: Simeone ed Anna.
I due anziani rappresentano il passaggio da una generazione all’altra. Un passaggio che avviene lodando Dio per i prodigi che ha compiuto attraverso un bambino e la sua giovane famiglia. Simeone ed Anna non appartengono alla classe di quelli che si lamentano del presente ed hanno nostalgia del passato, piuttosto sono anziani proiettati verso il futuro, colmi di speranza e di fiducia. Essi capiscono quando è il tempo di lasciare il passo e sanno riconoscere e accogliere la novità di Dio. Simeone ed Anna rappresentano, infine, la comunità adulta, avanti nella fede, che sa accogliere la comunità giovane, le giovani famiglie senza permettersi di insegnare o giudicare i loro stili di vita o le loro scelte familiari, ma accompagnandoli e pregando per loro: cosa che molte suocere dovrebbero imparare.
Quanto è bello e attuale il Vangelo di oggi! E quanto si potrebbe ancora dire! Ma vi voglio bene e mi fermo.
L’ultimo pensiero va alle spade che trafiggono oggi l’anima delle famiglie. Alle famiglie in difficoltà economica, ai coniugi che vivono l’esperienza dell’incomprensione, ai vedovi e alle vedove, ai separati e ai divorziati, agli anziani coniugi, ai figli in cerca dell’affetto dei genitori e ai genitori in cerca della considerazione dei figli. Maria e Giuseppe possano mettersi in cammino verso le loro case e portargli la luce di Gesù insieme alla promessa che ogni famiglia può diventare santa sull’esempio della Santa Famiglia.