Un’ultima cosa mi sento di aggiungere sul fenomeno Benigni.
C’è un dato che fa riflettere e che va oltre ogni tipo di polemica e previsione: I Dieci Comandamenti sono stati visti da 10 milioni di italiani.
Un risultato che lo stesso Benigni, con la sua bravura e la sua passione, non era riuscito ad ottenere in prima serata né con la Divina Commedia, né con l’esegesi della Costituzione italiana. Quindi è stata la scelta dell’argomento la mossa vincente, nonostante nel nostro Paese laicità e laicismo si confondano continuamente.
Eppure fino a ieri, a detta di molti, i Comandamenti erano considerati sinonimo di retrogrado, o quanto meno erano visti come un pezzo da museo: vedere ma non toccare!
Credo, perciò, che tanto abbia fatto il personaggio Benigni, ma che fondamentalmente il successo di queste due serate sia dovuto anche e soprattutto al bisogno di trascendente che l’uomo ha dentro di sé. Un bisogno che non va necessariamente identificato con Dio ma con quello che Dio rappresenta e cioè Amore, Giustizia, Libertà, Pace, Speranza, Gioia, Dignità. Di questi grandi valori, racchiusi nelle famose dieci parole, ognuno di noi sente e sentirà sempre forte il bisogno. In fondo in fondo, anche se non sempre ci riesce facile ammetterlo a noi stessi e agli altri, siamo tutti un po’ homo religiosus, oltre che sapiens. Non dare la giusta risposta a questi bisogni può essere pericoloso e non riconoscere nella religione, qualunque essa sia, l’apporto che questa può dare nella soddisfazione di tali bisogni è segno di profonda ignoranza.
Il merito di Benigni in queste due serate, – ma anche di tanti preti e catechisti ogni giorno – è stato quello di scrostare quella patina superficiale che faceva apparire i Dieci Comandamenti solo come un mero elenco di divieti, per riscoprirli, invece, per quello che realmente sono nel profondo: un preziosissimo vademecum per diventare uomini e donne autentici, felici e soprattutto liberi.