Dico la verità. Era da tempo che volevo riprendere una mia vecchia abitudine – non so se buona o meno – di scrivere qualcosa alla vigilia di momenti importanti per la mia vita umana e spirituale. Scrivere d’altronde, è sempre un modo per riordinare le idee, o per averne di migliori. E, forse, una è questo blog. Il confronto, il dialogo, la condivisione restano la strada migliore per educare la nostra mente, per crescere.
Allora ci tenevo a condividere questo appunto, che mi porto dentro da un bel po’, e che mi sembra particolarmente adatto al tempo di Quaresima che stiamo per cominciare.
Siamo semi.
Possiamo essere semi-seri, semi-conformisti, semi-praticanti, addirittura semi-dio. Ci accorgiamo nella nostra vita di essere a metà – e forse ci accontentiamo pure – senza mai però sentirci intimamente completi e soddisfatti di ciò che siamo.
Siamo semi, e basta.
Dovremmo cominciare a pensare, invece, che siamo semi e basta. Semi raccolti dapprima nella mano di Dio e poi lasciati cadere qua e là sulla terra. Veniamo da Dio e siamo fatti di Dio. Il seme ha in sé la completezza della vita, ha la missione del futuro. Il seme opera nel silenzio della terra, nascosto agli occhi avidi degli uccelli di sventura. Nel grembo del creato continua il suo lavoro, si arricchisce di ciò che gli è necessario, di niente di più. Il seme si contenta del luogo dove si trova consapevole di essere destinato a grandi cose. Fra attese e difficoltà lentamente si consuma, ma non finisce. Muore ma non scompare. Alla morte ci arriva vivo. Solo allora conoscerà appieno il miracolo d’amore racchiuso dentro di sé.